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Magnetoterapia

L’applicazione dei campi magnetici a finalità terapeutiche rientra probabilmente tra i più antichi metodi di cura conosciuti dall’uomo. Il termine “magnetismo” è stato utilizzato per la prima volta da Agrippa di Nettesheim nel 1531 nell’opera De occulta philosophia, ma la magnetite era conosciuta ed utilizzata per le sue proprietà terapeutiche sin dagli antichi egizi.

Effetti

L’azione dei campi magnetici si esplica a tre diversi livelli di organizzazione biologica:

  • molecole protoplasmatiche (in particolare tessuto collagene);
  • membrana cellulare;
  • tessuto nervoso.

L’effetto fondamentale esercitato dai campi elettromagnetici aventi particolari caratteristiche di intensità, frequenza, durata dei singoli impulsi e modalità di erogazione sui tessuti lesionati è quello di determinare la rimozione del potenziale di lesione e il conseguente riequilibrio dei potenziali elettrici della membrana. In condizioni fisiologiche, la differenza di potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno della cellula è di — 70 millivolt, e ciò viene definito “potenziale elettrico transmembranario”. Ogni insulto meccanico, trauma o aggressione chirurgica, chimica o fisica della cellula diminuisce la differenza di potenziale della membrana, con conseguente inversione della pompa sodio-potassio: poiché il valore della carica elettrica così introdotta è positivo, e preponderante su quello esterno, si determina una diminuzione del potenziale di membrana. Si verifica inoltre una parziale depolarizzazione dei biopolimeri interstiziali composti essenzialmente da collagene e una notevole riduzione dell’attività enzimatica propria dei fenomeni riparativi normali. Le onde elettromagnetiche esercitano la loro azione determinando, in virtù dell’effetto ionizzante, un aumento della permeabilità selettiva cellulare, cui consegue il ripristino della fisiologica differenza di potenziale di membrana.

Per quanto riguarda l’azione analgesica dei campi elettromagnetici, l’iperpolarizzazione delle membrane post-simpatiche produce una diminuzione della trasmissione di informazione ed una conseguente riduzione dell’attività simpatica: si determinerà quindi una relativa vasodilatazione con aumento della disponibilità tessutale di ossigeno ed eliminazione dell’eventuale componente ischemica del dolore. Si osserva inoltre una depressione dell’attività delle fibre C di piccolo diametro, delle quali il cinquanta per cento è deputato alla trasmissione della cosiddetta componente lenta del dolore, poiché conduce gli stimoli raccolti dai recettori periferici sensibili all’azione delle pain prò dueing sub-stances. Tale ridotta attività di queste fibre, in accordo con la teoria del gate control di Melzack e Wall, concorrerà alla chiusura del cancello. Sembra inoltre possibile l’ipotesi che il riequilibrio della membrana cellulare determini il blocco delle sostanze algogene e pro-infiammatorie, quali l’istamina, la serotonina, i prosta-noidi, le prostaglandine eccetera, nonché un’azione di neutralizzazione o di modulazione sulla produzione dei cosiddetti radicali liberi. La stimolazione del sistema diencefalo-ipofisario o delle ghiandole surrenali provoca un’aumentata increzione sistemica di sostanze, quali endorfine e catecolamine, che influiscono sul controllo del dolore e sulla re­golazione dei processi infiammatori.

Mezzi di produzione

Magnetoterapia – Per definizione, l’apparecchio per magnetoterapia è un dispositivo che genera un campo prevalentemente magnetico, ben caratterizzato in intensità, andamento del campo, frequenza, forma d’onda e che consente l’assoluta riproducibilità delle terapie.

I campi magnetici più usati sono prodotti da correnti sinusoidali o da correnti a una semionda o a doppia semionda, di frequenza variabile (0-100 Hz), nei quali non avviene inversione della polarità e che prendono il nome di pulsanti. Possono essere erogati in continuo o con pause, e in tal caso si parla di campi magnetici pulsati (CEMP). Sono frequentemente utilizzati anche i campi magnetici prodotti da stimoli rettangolari con frequenza non superiore a 75 Hz e intensità intorno ai 40 gauss.

Elettromagnetoterapia

In questo tipo di apparecchio il campo elettrico prevale su quello magnetico; generalmente vengono prodotte onde a bassa intensità ed alta frequenza (16-20 MHz ed armoniche) modulate tra i 10 ed i 2000 Hz. In questo caso il campo elettromagnetico viene emesso da una coppia di antenne in gomma conduttiva da applicarsi direttamente a contatto del segmento corporeo da trattare.

Indicazioni terapeutiche

Gli effetti terapeutici dei campi elettromagnetici sul tessuto osseo sono senz’altro i più conosciuti. L’interesse nasce in seguito agli studi di Fukuda e Yasuda sulle proprietà piezoelettriche dell’osso. La sollecitazione meccanica sull’osso evidenzia sull’area di compressione una polarizzazione negativa che provoca osteogenesi, mentre sull’area di tensione si verifica una polarizzazione positiva che causa il riassorbimento osseo. Altre ricerche hanno evidenziato come siano presenti potenziali bioelettrici anche su superfici ossee non sottoposte a sollecitazioni di carico, con presenza di elettronegatività nelle zone dove avvengono i processi di crescita e di riparazione.

Patologia ortopedica e traumatologica – I

  • ritardi di consolidazione con terapie elettromagnetiche,
  • pseudoartrosi congenita,
  • nell’osteonecrosi dell’anca,
  • nel morbo di Perthes
  • nelle tendiniti croniche e
  • attecchimento di innesti ossei.
  • Nella necrosi vascolare della testa femorale
  • l’osteocondrosi,
  • osteoporosi
  • artrosi
  • algo-neurodistrofia di Sùdeck,
  • affezioni mio-tendinee (tendiniti, strappi muscolari, ematomi, contusioni)

Patologia vascolare

  • arteriopatie e nelle flebopatie.
  • riduzione dello stato edematoso del derma, come conseguenza di un effetto protettivo sui rapporti tra tessuti e microcircolo.
  • facilitare il processo di guarigione delle ulcere o delle piaghe torbide.
  • Inoltre è di frequente riscontro l’associazione tra patologie ortopediche e vascolari, come per esempio gli edemi periferici post-opertori o le varici, e quindi i CEMP possono avere una doppia indicazione (30-40 gauss effetto iperemizzante; 40-100 gauss effetto antiedemigeno).
  • Sono numerosi gli Autori che hanno riferito di risultati favorevoli in casi di morbo di Raynaud primitivo o secondario ed in arteriopatie periferiche obliteranti degli arti inferiori.
  • Applicazioni di circa quattro ore giornaliere ad alta frequenza e bassa intensità hanno evidenziato risultati positivi sull’edema post-operatorio, su lesioni cutanee di origine venosa, riducendo il dolore e il tempo di cicatrizzazione.

Dermatologia –

  • possiamo riferire di buoni risul­tati ottenuti nella psoriasi ed in alcune dermatiti papulo-edema-tose, così come nell‘herpes zoster; le applicazioni, di breve durata (20 min/die) si avvalgono di basse intensità di campo a frequenze variabili medio-alte.

Patologia respiratoria

  • L’azione antiflogistica dei CEMP ha spinto la ricerca e la sperimentazione nel campo del trattamento delle broncopneumopatie croniche ed alcuni lavori riferiscono di buo­ni risultati con trattamenti di intensità inferiore a 100 gauss.

Controindicazioni e precauzioni

Le controindicazioni assolute possono essere ridotte ai portatori di pace maker e allo stato di gravidanza; per somma prudenza se ne sconsiglia l’uso negli stati emorragici e trombotici in atto e in presenza di versamenti ematici.

Gli effetti collaterali, riscontrati raramente, dipendono esclusivamente dalla durata dell’esposizione del tempo; sono inquadrati in sindromi cliniche, i cui sintomi principali sono: cefalea, astenia, insonnia o sonnolenza, irritabilità, parestesie, accentuazione temporanea del dolore, aumento della diuresi ed ipotensione. Si tratta di sintomi che non si accompagnano a reperti obiettivi e che regrediscono al cessare dell’esposizione.

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